Hai appena imboccato la Route 66, il sole rosso fuoco alle tue spalle affoga nella linea dell’orizzonte che si perde tra i grattacieli di Chicago e rimbalza nello specchietto retrovisore. Maledici la tua memoria a breve termine per averti fatto dimenticare gli occhiali da sole nell’ultimo bar che hai frequentato, tra boccali di vetro rotti e facce nemiche. Decidi di non pensarci.
Giri la manopola dell’autoradio e, tra segnali di disturbo e rumore bianco, riesci a sintonizzarti su una stazione radio decente: c’è Tom Jones sul sedile del passeggero che tenta di imporre il suo vocione intonando She’s a Lady ma il rombo del V8 Alfa Romeo che hai nel cofano non glielo permette. Allora si arrende, si avvicina al tuo orecchio e ti sussurra: “Dobbiamo andare e non fermarci mai finché non arriviamo.”
Pensi di avere qualche rotella fuori posto, o forse sarà stata l’afa del deserto ma decidi di rispondergli comunque:
“Per andare dove, amico?”
“Non lo so, ma dobbiamo andare.”
E allora affondi il piede nell’acceleratore e sembra di essere nel bel mezzo di un attacco Vietcong. Il motore ha un'elasticità incredibile: riprende da 1.500 giri/min in quinta senza sussulti, poi diventa rabbioso salendo ai regimi più elevati. Un motore infinito, che ti scaglia a 235 km/h nel deserto, ma una meccanica che non perdona errori. Se si accelera troppo in curva su una strada leggermente bagnata, la cosa più conveniente da fare è staccare le mani dal volante e unirle in segno di preghiera: il retrotreno sbanda come un maiale sul fango alla fiera della contea. Ma questa muscle car con i baffi e il mandolino merita tutta il nostro rispetto.
Fu anticipata dal prototipo 33 (in bianco, nella foto in basso) presentato all'Esposizione Universale di Montreal del 1967, che l’Alfa Romeo definì come la "maggior aspirazione raggiungibile da un uomo in fatto d'automobili". E non è facile contraddire un’affermazione del genere. Nel 1970, infatti, La Casa presentò la versione stradale del prototipo e le scelse il nome di Montreal, proprio perché è grazie a quell’evento che fu decisa la messa in produzione: l’Alfa Romeo venne letteralmente sommersa dalle richieste. Il Nord America si era innamorato.
Eccola qui, con quelle splendide linee disegnate da Marcello Gandini per Bertone, proiettata in avanti per dare l'idea della velocità, con il montante posteriore alleggerito da feritoie e con la coda tagliata per imprimere potenza estetica alla vettura. Ma il pezzo forte è l’anteriore. Il cofano abbassato e lo sguardo celato per metà da griglie incutono timore e riverenza, come un bullo di quartiere sembra voglia dirti: “Cos’hai da guardare? Levati di mezzo!”.
La ricetta non poteva essere più semplice: motore anteriore, trazione posteriore, due posti secchi. Ma le sensazioni che un’auto come l’Alfa Romeo Montreal trasmette non possono essere spiegate a parole, vanno vissute guidandola nel deserto, di giorno e di notte, diretti verso la Città degli Angeli a bordo di una palla di fuoco arancione. E allora, quando il sole è oramai tramontato, pensi alle parole di Kerouac: “La felicità è avere una macchina veloce, l'orizzonte lontano e una donna da amare alla fine della strada.”
Nulla da obiettare, amico.